Concorso per un manifesto contro la violenza sulle donne e di genere -  2016

Molti pensano che il lavoro del designer sia quello di creare cose belle. Certamente è vero ma è una parte minore. Per me, gli aspetti più importanti del design sono il modo in cui pensiamo, il modo in cui ci assicuriamo di risolvere i problemi e i bisogni più importanti e più critici delle persone.
Donald. A. Norman

Presentarsi ad un appuntamento, come cittadini e per giunta attivi. Cercare un metodo che permetta di individuare il problema, di definirlo, e poi di inquadrarlo sotto punti di vista diversi. Interpretare il mondo e costruire narrazioni. Anche questo, oggi, è il compito del designer e questo è ciò che 20 studenti del corso di laurea in Design Industriale hanno cercato di fare.

Si sono presentati all’appuntamento, senza cravatta e neppure tailleur, ma con in mano e negli occhi disegni, linee, colori, forme e le preoccupazioni per la salute, i diritti e la felicità delle persone. Hanno accolto l’invito del Dipartimento di Scienze Umane e del Dipartimento di Economia, Scienze e Diritto di realizzare un manifesto, di divenire parte attiva nel definire i temi della giornata internazionale contra la violenza sulla donna e di genere. Cosa, difficile, da perderci la testa la sensibilizzazione al tema della violenza sulle donne, a prima vista un vero imbroglio. Come fare? Dipanare la matassa non è cosa semplice. Il pensiero si definisce, si chiarisce, attraverso il disegno. Il problema si individua stando molto attenti a non confondere la causa con l’effetto poi, si analizza, si scompone e si ricompone. Scrive Veronica Gardinali “Si riscontra l’utilizzo ricorrente di immagini di donne che hanno subito le conseguenze di violenze, credo invece che sarebbe più importante spostare il discorso comunicativo verso una riflessione sulle cause che portano a questi tipi di atti”. Designer costruttori di narrazioni e di realtà, consapevoli che, come dice Cecilia Marzocchi, “il nostro coinvolgimento è maggiore e la nostra memoria più attenta se al contare, si preferisce il raccontare” o che, come suggerisce Stefania Borasca, Il progetto è un (f)atto di (r)esistenza sul tema.

E se anche i designer, nel XXI secolo, fossero “scultori sociali”?

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