Concorso per un manifesto contro la violenza sulle donne e di genere - 2016
Molti pensano che il lavoro del designer sia quello di creare cose belle. Certamente è vero ma è una parte minore. Per me, gli aspetti più importanti del design sono il modo in cui pensiamo, il modo in cui ci assicuriamo di risolvere i problemi e i bisogni più importanti e più critici delle persone.
Donald. A. Norman
Presentarsi ad un appuntamento, come cittadini e per giunta attivi. Cercare un metodo che permetta di individuare il problema, di definirlo, e poi di inquadrarlo sotto punti di vista diversi. Interpretare il mondo e costruire narrazioni. Anche questo, oggi, è il compito del designer e questo è ciò che 20 studenti del corso di laurea in Design Industriale hanno cercato di fare.
Si sono presentati all’appuntamento, senza cravatta e neppure tailleur, ma con in mano e negli occhi disegni, linee, colori, forme e le preoccupazioni per la salute, i diritti e la felicità delle persone. Hanno accolto l’invito del Dipartimento di Scienze Umane e del Dipartimento di Economia, Scienze e Diritto di realizzare un manifesto, di divenire parte attiva nel definire i temi della giornata internazionale contra la violenza sulla donna e di genere. Cosa, difficile, da perderci la testa la sensibilizzazione al tema della violenza sulle donne, a prima vista un vero imbroglio. Come fare? Dipanare la matassa non è cosa semplice. Il pensiero si definisce, si chiarisce, attraverso il disegno. Il problema si individua stando molto attenti a non confondere la causa con l’effetto poi, si analizza, si scompone e si ricompone. Scrive Veronica Gardinali “Si riscontra l’utilizzo ricorrente di immagini di donne che hanno subito le conseguenze di violenze, credo invece che sarebbe più importante spostare il discorso comunicativo verso una riflessione sulle cause che portano a questi tipi di atti”. Designer costruttori di narrazioni e di realtà, consapevoli che, come dice Cecilia Marzocchi, “il nostro coinvolgimento è maggiore e la nostra memoria più attenta se al contare, si preferisce il raccontare” o che, come suggerisce Stefania Borasca, Il progetto è un (f)atto di (r)esistenza sul tema.
E se anche i designer, nel XXI secolo, fossero “scultori sociali”?
01 — “Be the Judith with your Holofernes”
Marco Tomassoli
L’elaborato che vado a descrivere è il risultato “ibrido” di una commistione tra un linguaggio visivo così detto “alto”, ovvero quello della pittura antica, e il tono delle pubblicazioni femministe. Linguaggi differenti tra loro per contesto storico, fini ed applicazioni.
Sin dall’inizio l’intento era quello di individuare una figura storica/iconica da porre al centro della comunicazione, individuata nella biblica Giuditta: la sua storia narra che al trentaquattresimo giorno d’assedio perpetrato dal generale babilonese Oloferne ai danni del popolo d’Israele ormai sul punto della resa, Giuditta sfruttò la sua naturale bellezza per sedurre il nemico, decapitandolo durante la prima notte trascorsa assieme, preservando così la sua purezza. Il tema della mulier fortis interessò a lungo la pittura del XVI secolo, e il gesto eroico di Giuditta fu più volte reinterpretato dagli artisti dell’epoca, sancendola come una delle “donne forti” nell’immaginario collettivo. A questa icona si è poi applicato il tono beffardo e di aperta sfida, come proclama il primo articolo di un immaginario statuto per la nuova donna libera: 01 - “Be the Judith with your Holofernes”, (sii la soluzione ai tuoi problemi) una scelta liberamente ispirata ai linguaggi forti e decisi delle pubblicazioni femministe internazionali che proliferarono nei primi anni ‘70: Oz, Spare Rib, Effe, Ms. e Granta solo per citarne alcune tra le più celebri. Di esse infatti condivido pienamente il messaggio che pone sempre al centro la figura della donna autonoma, discostandosi invece da quel filone comunicativo che fa leva sull’emozione suscitata dalla donna sottomessa e debole.
Il manifesto si fa veicolo di un messaggio forte e straniante, che si genera da un doppio gioco di contrapposizioni, tra la violenza e la purezza di Giuditta, e il linguaggio pittorico classico contrapposto ad un tono politicamente “scorretto” ed in un certo senso, orientato. La scelta di un’icona così estrema ha poi richiesto una moderazione dal punto di vista visivo/comunicativo: si è scelto di inquadrare esclusivamente i volti delle diverse Giuditte, quasi a decontestualizzarli dalla crudezza del gesto, focalizzandosi sui tratti visivi comunque delicati e gentili.
In conclusione, il modello autoritario di Giuditta mi è sembrato metaforicamente adatto per sottolineare il modello della donna moderna che combatte per ribadire la sua identità, soverchiando le gerarchie di una società mal bilanciata.
Non lasciarti divorare
Bagolin Claudia
Accarezza, tocca, afferra, oppure percuote, stringe, colpisce, uccide. La mano è sicuramente l’elemento più rappresentativo della specie umana che, in base al modo e al contesto in cui viene utilizzata, assume un ruolo costantemente differente, con valenza positiva o negativa. Essa può definirsi una sorta di appendice della mente, tale per cui riesce a mostrare, a seconda dei gesti e dei movimenti, il carattere, lo stato d’animo e dunque l’essenza stessa di ogni persona.
Nel manifesto, ispirato al celebre Jaws di Steven Spielberg, la mano con le fauci spalancate simboleggia metaforicamente una sorta di uomo predatore in cui la linea di divisione tra la coscienza razionale e gli impulsi dettati dalla natura primordiale e selvatica si fa sempre più sottile e confusa, fino a scomparire completamente nei casi più gravi.
L’uomo perde la propria umanità diventando un animale pericoloso capace solo di mordere anziché parlare e di picchiare anziché ascoltare.
Tale visone appare dunque come una sorta di incubo, nel quale la donna, dormiente è colta nel suo momento più fragile: ella è inerme, sdraiata su un letto che ben presto si rivelerà essere un mare torbido, non più azzurro e cristallino bensì rosso sanguigno, ove un tragico destino l’attende senza alcun preavviso.
La mano dell’uomo, enorme e cupa come la notte senza stelle, incombe sulla delicata figura femminile, indifesa e incapace ribellarsi alla rabbia furiosa e incontrollata di un essere che di umano non ha più nulla se non la forma.
Lo stile semplice a tinte piatte associato a tonalità dall’elevato contrasto è stato studiato appositamente per destare l’attenzione del pubblico di ambo i sessi. Esso si ispira principalmente alle opere del graphic designer Noma Bar e a quelle di Saul Bass per l’essenzialità delle forme e per l’efficacia cromatica dalla quale ne deriva la semplicità e allo stesso tempo l’immediatezza del messaggio visivo. Il font utilizzato per il testo principale, è il Tungsten Medium, un carattere lineare molto stretto e rigido, rielaborato digitalmente al fine di ottenere una traccia imprecisa e tremolante, sia per accomunarla allo stile illustrativo, sia per esemplificare una sensazione di freddezza e di disagio.
“Non ragionam di lor, ma guarda e passa”
Chiara Amatori — Vittorio Solleciti
L’amore dovrebbe essere un dono e, invece, viene stravolto dall’egoismo a causa dell’impazienza, della precocità con cui viene cercata la soluzione e dell’abuso tremendo che fa, della persona che si “ama”, uno strumento da usare per il proprio gusto. Così nell’amore l’uomo perde l’equilibrio e si disorienta. La donna, in queste circostanze, viene usata e spesso maltrattata. L’istinto dell’uomo è purtroppo capace di orribili cose e tra queste c’è, alla base, l’incapacità di guardare la donna con occhi gioiosi e ingenui.
Il nostro progetto è partito proprio da questo fattore: una donna può subire violenze fisiche, ma non solo purtroppo. Troppo spesso la naturale e forte delicatezza di una donna è violata anche solo da un semplice sguardo.
Gli occhi sono uno degli strumenti di comunicazione più espliciti e diretti di cui il nostro corpo è dotato e, proprio per questo, è facile che venga male utilizzato. Gli occhi hanno una grande responsabilità: dicono ciò che ancora la bocca non ha proferito e ciò che il corpo ancora non ha mostrato, e lo fanno senza filtri inseriti dalla mente.
Ci siamo immedesimati e ritrovati nella situazione di quella donna che, per motivi ignobili e stupidi, è trafitta dalla violenza degli sguardi di uomini che impulsivamente la giudicano e la denudano. Purtroppo non occorre alzare una mano, scagliare una pietra o perdere il controllo di sé per marchiare e denudare una donna: bastano due occhi per una silenziosa violenza.
Gli occhi da noi scelti hanno come obiettivo quello di trasportare lo spettatore in un mondo di cui conosce l’esistenza ma a cui difficilmente porge attenzione. Lo sguardo intenso, quasi provocatorio degli 80 uomini del manifesto, ha lo scopo di stimolare curiosità e stupore ma anche senso di smarrimento e di disagio. Non sono occhi nitidi, in alta definizione, ma ritagli di giornale, ove la carta, con le sue venature e porosità, trasmette agli sguardi il giusto valore materico e veridicità. Se guardati da vicino sono sfocati e indefiniti, quasi a trasmettere un senso di debolezza se presi singolarmente, ma se ci si allontana, la definizione aumenta, gli sguardi aumentano, e il tutto riacquista potenza. In gruppo l’uomo è più coraggioso e più forte.
Giornata internazionale contro la violenza sulle donne
Veronica Gardinali
Riflettendo su quello che è il ruolo di un progettista grafico e di come esso possa porsi nei confronti di un tema così delicato come quello della violenza sulle donne, trovo che molte campagne precedentemente effettuate siano inefficaci dal punto di vista comunicativo.
Si riscontra l’utilizzo ricorrente di immagini di donne che hanno subito le conseguenze di violenze, credo invece che sarebbe più importante spostare il discorso comunicativo verso una riflessione sulle cause che portano a questi tipi di atti. In particolare, in questi casi di comunicazione per il sociale, il manifesto dovrebbe essere in grado di stimolare una riflessione in chi guarda, in modo da sensibilizzare maggiormente sul tema trattato. L’utente deve assumere un ruolo attivo, deve poter riflettere intorno a ciò che vede, solo in questo modo si potrà compiere una campagna di sensibilizzazione efficace.
Il progetto intende avviare una riflessione sulla violenza in relazione alla donna. Esso si sviluppa a partire dalle definizioni di “donna” e “violenza” estratte dal dizionario che, con poche parole, forniscono una spiegazione chiara del significato dei due termini. Le immagini adottate nel progetto non voglio focalizzarsi sulla figura della donna che ha subito violenze, per questo motivo sono utilizzate immagini di donne manipolate per mezzo di uno strumento digitale. Queste fotografie perdono riconoscibilità, l’intento è quello di infastidire chi guarda portandolo a porsi domande e riflettere sul tema della violenza sulle donne.
L’unico segno di cui non mi vergogno
Gabriele Mariani
Partendo dalla ricerca di altri manifesti ho trovato interessante il fatto che questo tipo di campagna, al fine di comunicare un tema non banale come quello della violenza sulle donne, si basa sulla forza delle immagini e della frase. Ho deciso quindi di concentrarmi sul tema del “segno” in quanto lo trovo interessante dal punto di vista comunicativo e d’impatto, dato che in molti manifesti le immagini sono crude e a volte con segni molto evidenti. Ho quindi tentato di trovare vie diverse nell’affrontare questo tema, proprio perché vi sono già molti manifesti che ne parlano, arrivando alla conclusione di trattare il significato del segno in maniera metaforica. Giocando sulla parola e la sua rappresentazione, che nel mio caso non è stato quello inferto da un uomo ma, piuttosto, l’unico segno che una donna dovrebbe avere sul suo corpo, cioè l’abbronzatura, ho realizzato il manifesto evidenziando quello lasciato dal costume. Vi ho poi associato la frase “l’unico segno di cui non mi vergogno” per rendere il significato in relazione con il tema, in quanto solitamente chi viene violentata se ne vergogna e rimane impassibile di fronte a quegli atti, senza denunciarli e coprendoli semplicemente. Il mio è quindi un manifesto di denuncia contro chi compie l’atto e soprattutto a favore di tutte quelle donne che invece di parlare rimangono nell’anonimato, e che spero quindi, grazie a questo, riescano a capire l’importanza di parlarne e denunciarne le violenze qualora ci fossero, di qualsiasi tipo.
Giornata internazionale contro la violenza sulle donne
Denis Di Luca
Il poster realizzato a favore della “Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne” nasce con l’intento di creare un forte impatto visivo e di trasmettere diverse sensazioni a chi il male l’ha sperimentato sulla propria pelle e a chi cerca di trovarne una spiegazione pur non avendolo mai incontrato. La chiave di lettura dell’immagine è aperta, senza parametri o vincoli che vogliano canalizzarne il significato.
Il poster è caratterizzato da tre elementi principali: il fiore, simbolo della bellezza femminile, forza e fragilità; il pugno, rappresentazione della violenza e infine la donna come essenza umana. Il tutto accompagnato da uno sfondo nero che evidenzia la paura, il male e l’oscurità che circondano la violenza.
La coltura di un fiore è l’azione descritta nel poster, essa può essere interpretata come un gesto quotidiano di dolcezza verso la persona che si ama, ma allo stesso tempo di crudeltà e fatalità per la vita del fiore. Essendo quest’ultimo sospeso nel vuoto, non è possibile capire se sia stato strappato via dal terreno o sia ancora ancorato alle proprie radici. Questo dettaglio è stato elaborato con cura per trasmettere la problematica spesso presente nelle donne trovatesi sole, senza un sostegno morale, durante e a seguito degli orrori subiti. Nella maggior parte dei casi, non denunciando la violenza, esse si ritrovano a dover lottare senza nessun appiglio, perdendo la fiducia verso il prossimo. C’è chi, invece, coinvolge i propri cari capendo che il loro ruolo è proprio quello di riportare il soggetto in vita, riconnettendolo al terreno così come fanno le radici di un fiore. La linfa, di colore rosso, simboleggia il sangue che scorre nelle vene dell’essere umano. La mano dell’uomo racchiude in un pugno lo stelo come se stringesse il collo di una donna, per rendere la sua sofferenza lunga e dolorosa. I lividi sul pugno mostrano chi, di giorno in giorno impone la propria violenza senza filtri e preoccupazioni sui corpi femminili che per amore o per paura del proprio partner continuano a tacere.
Il soffocamento psicologico e fisico è mostrato attraverso il viso che, come un’anima, si dissolve verso l’esterno.
La donna, rappresentata di profilo, è senza volto per esprimere in che modo e in quanto poco tempo la violenza possa mettere a tacere sentimenti, paure e incertezze. Essa si trasforma semplicemente in un oggetto da utilizzare e maltrattare. Il colore bianco del fiore, candido e puro, rappresenta la bellezza della donna che cerca, comunque, di sopravvivere.
L’immagine della donna è stata raffigurata in bianco e nero per far sì che non prevalgano distinzioni di razza, età o religione.
La bocca semiaperta, come a cercare di inalare l’ultimo respiro per rimanere in vita, può rappresentare l’impossibilità di salvarsi e il prevalere della forza fisica maschile. O, se analizzato da un diverso punto di vista, può rappresentare il coraggio appena acquisito di denuncia della violenza. Il poster deve adattarsi e prender forma nelle diverse menti umane, in base alle molteplici culture e caratteristiche di questo mondo così diverso ma, allo stesso tempo, legato dalla stessa superficie.
Giornata internazionale contro la violenza sulle donne
Manolo Liuzzi
L’idea di fondo di questo progetto riguarda la reinterpretazione, o meglio, il ribaltamento di un pensiero derivante dall’osservazione di alcune opere del passato. Sono state prese in considerazione opere quali la “Venere restaurata” di Man Ray e la “Venere a cassetti” di Salvador Dalì, le quali rappresentano, in questo caso, l’oggettificazione della donna proposta come una Venere (simbolo femminile) derubata della propria personalità e formalmente deturpata.
Partendo da questi presupposti il concetto è stato, sia idealmente che visivamente, ribaltato. In effetti la statua, riportata nel manifesto, rappresenta un simbolo di ribellione verso questa situazione di usurpazione. Essa si riprende le braccia fasciate, a causa della violenza subita, e da sfoggio della forza con cui vuole contrastare questi atti vili che non possono più rimanere inosservati. E’ una figura, quindi forte e determinata, simbolo di un mondo femminile che non vuole cedere, ma che intende combattere per i propri diritti, simbolo analogo alla “ Rosie De Riveter”.
L’aspetto grafico reindirizza verso il manifesto propagandistico, ad esempio, il “Manifesto di propaganda del libro” di Rodcenko quindi, colori piatti, di gamma bassa ma atti a colpire l’occhio dell’osservatore in maniera fulminea. Infine lo stile del font è monumentale, adeguato alla figura della statua, la quale poggia su di esso come se fosse su un piedistallo che mantiene l’ideologia che porta avanti la Venere.
Giornata internazionale contro la violenza sulle donne
Cecilia Marzocchi
“Sono circa 20.000 anni che non siamo più homo sapiens sapiens, ma homo empathicus. Quando [...] l’empatia viene a mancare o repressa, vengono fuori i nostri alter-eghi, da cui la violenza, l’egoismo, il narcisismo ecc.”
Jeremy Rifkin
Il motivo per il quale siamo più colpiti dal dolore e dalla morte di qualcuno a noi vicino e simile, rispetto al dolore di qualcuno di cui non conosciamo il volto, né la storia, né le abitudini, è principalmente dovuto alla nostra natura empatica e al contempo in qualche modo distratta. Tendiamo ad entrare in stato di allerta e a prestare maggiore attenzione quando sentiamo che la sciagura potrebbe capitare anche a noi, che “quello sarei potuto essere io”.
Il nostro coinvolgimento è maggiore e la nostra memoria più attenta se al “contare”, si preferisce il “raccontare”.
Le statistiche recitano:
“6 milioni 788 mila donne hanno subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale, il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni: il 20,2% ha subìto violenza fisica, il 21% violenza sessuale, il 5,4% forme più gravi di violenza sessuale come stupri e tentati stupri. Sono 652 mila le donne che hanno subìto stupri e 746 mila le vittime di tentati stupri.” I numeri non hanno la potenza delle storie, e quel “652 mila” non sarà mai incisivo come possono esserlo un nome e una storia. La violenza sulle donne è perpetrata all’interno e all’esterno delle mura domestiche, da familiari o da sconosciuti, motivata da gelosia o da convinzioni religiose e culturali. Il progetto affida il racconto di queste 6 milioni 788 mila donne al volto e alle storie di tre donne, che potrebbero essere le nostre madri, le nostre colleghe universitarie, le nostre vicine di casa.
— Carla, 46 anni.
Pestata a sangue dal marito perché la pasta era fredda. Ha perso un occhio.
— Beatrice, 23 anni.
Studentessa stuprata in un parcheggio mentre tornava a casa da una festa.
— Aisha.
Uccisa dal padre perché non aveva indossato il velo. Aveva 15 anni.
Giornata internazionale contro la violenza sulle donne
Stefania Borasca
Il progetto si pone l’obbiettivo di indagare la reale concezione della donna in un contesto sociale in cui i luoghi comuni sono diventati violenza tra le righe. Analizzando i sinonimi/denominazioni della donna, il progetto mira a far emergere, tra le righe, la violenza verbale della quale la donna è vittima così
da richiamare l’attenzione su un tipo di violenza, da molti sottovalutata
o considerata, in alcuni casi, inesistente.
Il progetto è un (f)atto di (r)esistenza sul tema.
Sei solo mia
Giulia Boccarossa
Nel nostro paese molte persone sono ancora portate a credere che la violenza arrecata al genere femminile sia rimasta una pratica relegata a società patriarcali e arcaiche.
Le ricerche compiute negli ultimi dieci anni dimostrano invece che la violenza contro le donne è presente nei paesi industrializzati come in quelli in via di sviluppo
e che le vittime e i loro aggressori appartengono a tutte le classi sociali e culturali.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità almeno una donna su cinque ha sub
ìto, nel corso della propria vita, abusi fisici o sessuali da parte di un uomo che fosse un suo parente, marito o amico.
Questo manifesto inquadra la violenza che si cela dietro l’apparente gesto di affetto che un uomo, ingannevolmente, rivolge alla sua donna, la quale, spesso, davanti agli abusi sia verbali che fisici del compagno tende a trovare giustificazioni, sia perché accecata dal sentimento che prova, sia perché subisce una forte manipolazione psicologica.
La rosa rossa che la mano porge alla donna, corredata dall’ambivalente frase “sei solo mia”, può sembrare ad una prima occhiata un puro gesto di affetto ma, ad una più attenta analisi, appare evidente come l’uomo stringa tra le dita anche un arma contundente, un pugno di ferro.
Ecco allora che l’immagine assume tutto un altro significato e diventa, non più la rappresentazione di una dichiarazione d’amore ma piuttosto, di una possessione ossessiva.
L’elegante uomo in camicia dichiara che la donna è di sua proprietà, e per questo, ha il diritto di esercitare su di lei ogni sorta di controllo. Questo è un manifesto di denuncia contro una violenza subdola, che si cela agli occhi di molti, nonché delle vittime stesse.
Men/Women
Giacomo Torsani
Questo progetto per un manifesto contro la violenza sulle donne e di genere è il risultato, innanzitutto, di una ricerca su elaborati e campagne pubblicitarie, realizzati nell’ambito del sociale. Mi sono imbattuto in numerosi lavori, commissionati da varie associazioni, che risultano, a mio avviso, banali e inefficaci. La classica foto di un manifesto, con un corpo o un viso sfregiato di una donna, mi suscitano tristezza e malinconia. Per questo motivo ho deciso di lavorare sulla tipografia e di cercare di creare un messaggio che sia di forte impatto ma, soprattutto, d’aiuto e speranza per tutte quelle donne che ancora vivono nel silenzio. Dopo un accurato brainstorming e una fase di scomposizione di parole, ho deciso di lavorare sulla parola “women” perché, al suo interno, contiene la parola “men”; non a caso la donna è colei che genera la vita e quindi tutti gli uomini. Successivamente ho iniziato a cercare il modo migliore per rappresentare questo concetto e, dopo varie prove, ho deciso di lavorare sulle trasparenze delle lettere in modo da creare una disuguaglianza iniziale della parola “women” dove “men” è più evidente di “wo”. Questa disuguaglianza però deve essere annullata, così ho deciso di ripetere in verticale, per cinque volte, la scritta “women“ e giocare sulle trasparenze dei due blocchi “wo” e “men”. Quindi l’uomo che, all’inizio, sovrasta la donna poi, man mano, giunge ad un equilibrio perfetto. La scelta dei colori non è casuale. Il rosso è il colore che rispecchia la violenza e il bianco delle scritte la speranza che, man mano, emerge dal rosso. Quello che voglio comunicare è un inno alla speranza. Come ultima idea, vista la dinamicità di “women“ data dalle trasparenze, ho creato anche una gif animata da utilizzarsi per un’ipotetica campagna social.
Giornata internazionale contro la violenza sulle donne
Matteo Boscarato
La violenza è rappresentata da una scultura che raffigura un busto di donna deturpato. Ma la scultura è anche un richiamo alla Venere di Milo che, nella cultura moderna, è assurta a manifesto della bellezza femminile.
La violenza qui è rappresentata simbolicamente: sul lato in ombra della scultura compaiono le scritte che parlano delle numerose conseguenze della violenza. Le crepe sono le ferite inferte alla donna, rappresentata senza arti, privata della sua indipendenza. Un’opera d’arte che ancora non cade a pezzi, che rimanere lì, ferma, immobile ed impotente. Dopo i primi schizzi, tramite scansioni 3D, si è scelta la posizione del corpo e della luce che ricade su di esso così da enfatizzare le sembianze di una statua logora e scalfita, violentata. Si è scelto inoltre di elencare alcune delle conseguenze della violenza sulla salute delle donne. Un’applicazione immediata è il simbolo femminile nella parola “donne” per evidenziare in maniera univoca il tema trattato. Piccola curiosità: la crepa sotto la pancia della statua raffigura un cuore.
Giornata internazionale contro la violenza sulle donne
Laura Degli Esposti
Il 25 novembre, non è una data a caso, è il ricordo di un brutale assassinio avvenuto nel 1960 nella Repubblica Dominicana ai tempi del dittatore Trujillo. “Tre sorelle, di cognome Mirabal, mentre tornavano da una visita ai mariti nel penitenziario di Puerto Plata, furono torturate, massacrate e strangolate perché erano considerate rivoluzionarie. L’auto su cui viaggiavano venne bloccata dagli uomini della polizia segreta di Trujillo; le sorelle Mirabal furono fatte scendere e successivamente uccise. Poi venne inscenato un finto incidente stradale, in modo che sembrasse una fatalità. Le tre donne sono diventate delle eroine nazionali nella lunga e sanguinosa lotta contro il dittatore, che dal 1930 al 1961 detenne il potere sull’isola uccidendo sistematicamente tutti gli oppositori del regime. Incarnano la passione per la libertà e ed il valore, impegnandosi con decisione nei confronti della lotta contro il governo trujillista.” In memoria dell’impegno e del coraggio delle tre donne nella loro battaglia per la libertà, ho scelto di rappresentarle attraverso tre fiori. Prezioso e allo stesso tempo fragile e delicato, il fiore è il simbolo per eccellenza della donna e viene spesso utilizzato per esprimere sensazioni che non sempre possono essere pronunciate. Ogni fiore assume un proprio significato, anche a seconda del colore. Quelli che ho scelto per incarnare i valori delle tre donne sono: la rosa di colore chiaro, il papavero rosso e il giglio bianco. La rosa di colore chiaro indica reverenza, umiltà e innocenza; il papavero rosso simboleggia l’orgoglio e viene considerato il fiore della consolazione; il giglio bianco è simbolo per eccellenza di purezza e candore, oltre ad assumere il significato di fierezza e nobiltà d’animo. Questi tre importanti valori devono essere incarnati in tutte le donne che subiscono ogni tipo di violenza in ambito di disuguaglianza dei rapporti.
Le forbici sono lo strumento di taglio per i fiori, ciò che andrà a interrompere il loro ciclo vitale. In questo caso le forbici nere rappresentano l’oscurità dell’uomo nei confronti della donna. L’azione che si sta per compiere nel manifesto è quella di recisione dei fiori, qualcosa andrà a interrompere la loro libertà.
Le parole “contro la violenza sulle donne” vengono, infine, inserite in maniera più ampia e decisa attraverso una font chiara ed essenziale, per dare maggiore sensibilità al manifesto.
Il silenzio uccide la dignità
Giorgia Caderbe
La violenza contro le donne e di genere è una violazione dei diritti umani.
La violenza può avvenire in qualunque luogo. Le vittime e i loro aggressori appartengono a tutte le classi sociali o culturali.
Dagli ultimi dati Istat disponibili, circa 7 milioni di donne hanno subito violenza, fisica o psicologica (una donna su 3 fra 16 e 60 anni). Ma nemmeno il 12% di queste donne ha avuto la forza di denunciarla. Il problema è l’uomo, il suo pensiero, la sua psiche. Purtroppo viviamo in una società che insegna alle donne come difendersi dagli uomini invece di insegnare a questi ultimi a non usare la violenza.
In alcuni casi la violenza è parte della cultura della coppia. Frustrazione, non realizzazione personale dell’uomo, difficoltà sul lavoro o nella vita, insoddisfazione, mancanza di senso: tutte le condizioni in cui l’uomo non riesce ad esprimersi come vorrebbe lo portano a ripiegarsi su se stesso e ad esplodere, poi, in raptus che possono trasformare anche il più pacifico e placido dei ragazzi in un mostro, anche solo per dieci minuti, quelli sbagliati.
Giornata internazionale contro la violenza sulle donne
Simona Zurlo
Perché una donna deve aver paura di camminare da sola per strada? Perché deve subire l’imbarazzo di sentirsi fissata intensamente? Perché deve sentirsi messa a nudo attraverso frivoli commenti?
Queste domande mi hanno fatta riflettere e mi hanno portata a evidenziare questa “piccola” quotidiana violenza, a volte sottovalutata, ma che tocca sicuramente la maggior parte delle donne.
Nella fase iniziale del progetto ho raccolto varie testimonianze, sia nella mia cerchia relazionale, chiedendo a donne di varie età, sia ricercando informazioni su internet. Vi è in particolare un sito, Hollaback, che dal 2005 costituisce una piattaforma di denuncia e sfogo per tutte le donne che hanno subito qualsiasi tipo di violenza.
Moltissimi articoli riguardano le molestie in strada a cui il sito ha dedicato una campagna. Molte ragazze denunciano il fatto che questi abusi sembrano passeggeri e poco preoccupanti, ma non per questo bisogna trascurarli.
Ho scelto l’illustrazione come mezzo per rappresentare, in maniera diretta, questo tema creando uno spazio buio, senza alcun elemento, senza alcun appiglio. In questo spazio buio vi cammina una ragazza, vestita con abiti semplici inseguita insistentemente da numerosi sguardi, ossessivi e malati,
che invitano l’osservatore a seguire la donna, la quale appare inquieta e in cerca di protezione.
La scelta cromatica riconduce agli incubi e a qualcosa di malsano.
“A mistake repeted more than once is a decision”
Andi Mullai
Il concept del mio elaborato nasce dall’articolazione dell’espressione “essere nel mirino” e dallo sviluppo figurativo dell’immagine del mirino stesso. Con una rotazione di 180° si può notare la similitudine grafica che vede nel mirino di una pistola il simbolo ♀, rappresentazione stilizzata della mano della dea Venere che sorregge uno specchio, associato al genere femminile. I dati statistici sulle donne vittime di violenza domestica - e molto spesso di omicidio - negli Stati Uniti sono allarmanti e ciò che più ci preoccupa è che troppo spesso il carnefice è il partner o un membro della famiglia. Si tratta per la maggior parte dei casi di omicidio premeditato e/o omicidio di primo grado.
La donna “entra nel mirino” del suo assassino e solo una minoranza ha la forza di denunciare le violenze. È interessante notare come molte delle vittime abbiano perso la vita a causa di ferite da arma da fuoco. Infatti, con la scelta dell’immagine della pistola, si sviluppa un’implicita riflessione critica circa la questione delle armi in America, il cui dibattito si fa sempre più acceso in vista delle prossime elezioni presidenziali. Il nero dello sfondo è stato scelto in riferimento all’uso simbolico che ha assunto nel mondo occidentale. Nell’arte e nella letteratura il nero rappresenta la sofferenza e la morte, nonché il lutto. Il nero rappresenta anche un colore di transizione e di movimento. Per secoli considerato funereo e associato a tragedie, oggi assume connotati di sofisticazione, potere ed eleganza, è una buona scelta sia per realizzare un design elitario, sia per raggiungere un pubblico comune. Inoltre rimanda all’idea di “buco nero” quale metafora psicologica della situazione in cui vivono le donne che subiscono una violenza domestica.
La scelta del colore del testo risiede nella dicotomia tra bianco e nero. Il bianco è la pagina vergine sulla quale si può ancora scrivere la storia della propria vita, il nero è la conclusione definitiva. Con l’espressione “A mistake repeted more than once is a decision” di Paulo Coelho si intende sottolineare l’importanza di denunciare ogni caso di abuso e prevenire il ripetersi di episodi di violenza sempre più frequenti.
Se vedi una donna come un oggetto la tratterai come tale
Matlis Cenuka
Per rappresentare la violenza sulle donne ho progettato una finta pagina “instagram”, fatta su misura per denunciare il sessismo dei social media e dei mass media. In questa finta pagina di un ipotetico social network, ho inserito, come utente, i “mass media” e la scritta “a 6.788.000 donne non piace” evidenziando il numero elevato di violenze e abusi subiti dalle donne nel nostro Paese.
Dopo avere realizzato tutti i dettagli, compresa la scelta della foto, per rendere verosimile la mia pagina l’ho inserita all’interno di uno smartphone nelle mani di un uomo. Lo smartphone nelle mani dell’uomo è la metafora della donna nelle sue mani, mentre lo schermo sono i social media che trasmettono immagini di donna come oggetto nell’era digitale. Accompagnato il manifesto il seguente slogan: “ se vedi la donna come un oggetto la tratterai come tale”; frase che meglio sintetizza il mio pensiero e messaggio che voglio trasmettere al pubblico.
Giornata internazionale contro la violenza sulle donne
Samuele Kriedi
Ho voluto creare questo manifesto per sensibilizzare non un unico target, ad esempio solo maschile o femminile, ma per comprendere il numero maggiore di persone di tutte l’età. Ritengo che, nella sua semplicità, questo manifesto possa trasmettere appieno il mio messaggio anche con un’immediata comprensione.
Ho cercato di basarmi su dati e notizie emersi da diversi siti e altri media, selezionando i metodi più frequenti di violenza femminile, e inglobandoli nel manifesto. Per essere più diretto ho disegnato questi strumenti e li ho posizionati in alcune zone simboliche del profilo femminile. Per l’intera composizione, ho utilizzato tre colori piatti, cercando di far sembrare il profilo come un macchia indelebile, posizionato singolarmente al centro.
Giornata internazionale contro la violenza sulle donne
Riccardo Marchiori
Per la realizzazione di questo manifesto ho voluto affrontare una delle tematiche più delicate concernenti la violenza sulle donne e di genere ossia il tema dello stupro.
Come ben si sa, questo tipo di violenza risulta difficile da affrontare dal soggetto preso di mira poiché l’atto subito non comporta soltanto danni fisici ma anche psicologici. Il mio principale intento perciò era di affrontare sin da subito questa tematica ricorrendo ad un’immagine di grande impatto capace di sensibilizzare e di far pensare lo spettatore.
Ho deciso dunque di realizzare un disegno tramite il software Photoshop. All’interno di questo disegno ho voluto raffigurare, sebbene in maniera ermetica e a volte enigmatica, la figura di due gambe di donna. Come si può facilmente notare, quest’ultima indossava delle mutande, “indossava” poiché le sono state sfilate da un uomo che, terminato l’atto di abuso nei confronti della ragazza, scappa nella notte. I colori che ho utilizzato sono volutamente cupi per dare ancor di più un senso di estraneità e angoscia allo spettatore che si troverà così a vivere un’esperienza di riflessione interiore. Anche nella scelta della tipografia, sia per quanto riguarda la Font, sia per il colore, ho voluto mantenere la stessa linea ideologica che ho seguito per la realizzazione del disegno. La Font da me scelta è un Futura Condensed, carattere aspro, duro, in perfetta sintonia con il senso della rappresentazione. Per il colore ho voluto riprendere il blu notte, utilizzato per il cielo di sfondo, in modo tale da avere un elemento di continuità.
Chi ti dà la vita?
Agron Begteshi
Il manifesto vuole focalizzare l’attenzione sull’importanza che la donna riveste per l’intera umanità: essa assicura la continuazione della specie umana. Analizzando tale presupposto, la violenza sulla donna deve sembrare insensata e inspiegabile.
Si è scelto di rappresentare l’inizio della vita dell’essere umano, cercando di creare un flusso, un ciclo di vita corrotto, che travia e porta l’individuo a scontrarsi contro la propria madre e quindi contro i principi vitali dell’essere umano.
La domanda “Chi ti dà la vita?” è volutamente una provocazione rivolta a chi abusa della donna, posta per ricordare che tutti proveniamo da un grembo materno, e che quindi ogni persona assume la stessa importanza. Lo stile utilizzato è volutamente sintetico e tagliente; accostato ai giusti valori tonali risulta adatto a rappresentare metafore come quella spiegata sopra.
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